C’è questo romanzo che sto leggendo, che in pratica è lo spin-off de “L’isola del tesoro” di Stevenson. Riprende uno dei personaggi della storia e ne fa una storia a sè. Parla di pirati, di persone che rubano e poi scappano, poi perdono la gamba o se la fanno tagliare ma restano vivi, perchè sono dei duri veri. Ma più che duri sono persone per cui il pericolo ha un significato diverso. Persone di cui è più importante la storia dell’emozione, di cui conta soltanto il racconto di sè fatto da altri, in tempi e luoghi che non sono adesso e qui. Persone che in fondo sono storie e basta. E a me piacciono le storie, tant’è che se ci penso bene e davvero scopro che mi piace tanto anche la mia.
Ho chiuso gli occhi e ho immaginato forte. Ho immaginato di essere una storia ma non la mia. E ho immaginato la storia più lontana possibile da qui. Mi sono accorta che quella storia era piena di pirati e che anche io ero un pirata. E mi sono sentita benissimo, perchè sentirmi così tanto diversa da me stessa mi ha fatto pensare come una che in realtà può essere esattamente quello che vuole.
E allora in un attimo ero seduta su un veliero. Sul bordo di questa nave grande che sembrava piccola, perchè era piena di funi e barili e tracce di sporco, che il calpestabile sembrava al massimo tre metri quadri in tutto. Era quasi il tramonto, ma quel momento prima del tramonto in cui ancora potrebbe essere qualsiasi ora del giorno. Mi sono seduta a cavalcioni su un barilotto pieno di qualcosa. Avevo una camicia puzzolente e crespa infilata dentro a dei pantaloni neri sgualciti. Ero scalza e coi capelli raccolti infilati sotto ad un tricorno che puntava lontano, dove si increspava il mare insieme all’odore di polvere da sparo. Il tempo non c’era, c’ero solo io con delle voci dietro e della voglia di rum, di sigari, di cose da uomo. Si sentiva quel rumore di acqua che sbatte contro le cose, come il suono che fa il mare sotto la chiglia delle navi quando le navi si muovono troppo piano. Qualcuno ogni tanto da poppa gridava o ruttava. Ma il senso era sempre lo stesso. Ed io ero sempre io. C’era ancora quel pensiero d’amore ma si faceva piccolo piccolo mano a mano. C’era ancora la paura, ma era una paura che aveva una storia dietro, fatta di pirateria e corsari e palle di cannone. Avrei potuto arrabbiarmi, uccidere, dare qulcosa o qualcuno in pasto agli squali. Ma tutte le possibilità restavano in me, sotto il cappello e sotto la mia carne di vecchia bucaniera. Ogni mia parte occupava il suo spazio, fino a quando ogni parte non esisteva più, ma era un tutt’uno. Ed io masticando del tabacco puzzolente pensavo allo scodinzolare di un cane, ai denti bianchi di quel sorriso che non vedo più, ma soprattutto al valore minuscolo delle parole, che contano così poco come quelle che ripete il pappagallo appollaiato sulla mia spalla, che neanche sa volare. Nel frattempo era sceso il sole, ed era ora di bere rum e poi menarsi in cambusa per una partita a carte. Ti ho perso per un secondo.
Forse anche i pirati hanno emozioni tristi e ricordi felici nascosti nella barba. Io li ho enormi, anche mentre sono un pirata per qualche ora e bevo cose puzzolenti sotto la vela di una nave mezza rotta dalle palle di cannone. Mi piace essere un po’ di tutto. Mi piace anche allontanarmi da un ricordo bellissimo fingendomi Long John Silver. Mi viene in mente che mi sto dimenticando di quella camicetta bianca su cui mi ero rovesciata il vino rosso. Mi dimentico di come era stato bello toglierla e riderne quando poi ho dovuto buttarla via. Non l’ho mai più ritrovata in nessun negozio, eppure non ne ho mai pianto. Adesso invece appena mi distraggo un secondo mi scivolano via dei pensieri e si coprono di nuovi rumori. Cerco di afferrarli per salvarli ma mi corrodono i palmi delle mani come funi impazzite che non riesco a frenare. Allora cedo, la vela crolla insieme alla nave e io torno in casa.
Non sarei mai un pirata coi controcazzi, forse. Ma so spostarmi da me stessa per andare altrove, per quell’istante solo in cui mi immagino come sarebbe se. Mi basta questo per imparare. Essere me stessa ma vestita da qualcos’altro.
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